La storia dell’acqua in bottiglia di plastica

Per la quantità prodotta ogni anno, verrebbe da pensare che l’acqua in bottiglia di plastica esista da centinaia di anni.

Invece, la sua introduzione sul mercato è abbastanza recente e ha contribuito ad alimentare esponenzialmente l’inquinamento da plastica che affligge l’intero pianeta.

Abbiamo raccolto le informazioni più importanti sulla storia della plastica per contenere acqua e bevande gassate, ripercorrendo l’escalation di uno degli oggetti più controversi di sempre.

Acqua in bottiglia di plastica, da innovazione a condanna

Doveva solamente semplificare la vita quotidiana e rendere più accessibile l’acqua a livello globale. Nella realtà dei fatti è diventato l’oggetto più inquinante della storia, oggi presente a tonnellate negli oceani, sulle montagne e in ogni ecosistema naturale del pianeta.

L’acqua in bottiglia di plastica, dal 1973 riempie gli scaffali dei supermercati e, una volta esausta, va ad alimentare i rifiuti di PET da smaltire, riciclare o riutilizzare.

Ecco quindi che un’innovazione che ha reso effettivamente più semplice il consumo, è diventata una vera e propria condanna per il pianeta. Ma come e perché è nata l’esigenza di inserire l’acqua minerale in un contenitore di polietilene tereftalato?

Storia della plastica leggera: le bottigliette in PET

L’invenzione delle tanto chiacchierate bottigliette in PET è da attribuirsi all’ingegnere americano Nathaniel C. Wyeth (1911-1990), impiegato alla DuPont.

Il suo intuito gli ha permesso infatti di brevettare il materiale (già creato nel 1941 da John Rex Whinfield e James Tennant Dickinson) per l’utilizzo nel settore alimentare.

Ai tempi, sia l’acqua che le bevande gassate venivano vendute all’interno di bottiglie in vetro, scomode e sicuramente costose da trasportare, poiché impiegavano grandi quantità di spazio all’interno di mezzi pesanti.

Inoltre, la pratica era quella del vuoto a rendere con cui, l’azienda che imbottigliava, doveva farsi carico di ritirare le bottiglie in modo da poterle riutilizzare.

Nonostante oggi questo sistema ci sembri piuttosto sostenibile, ai tempi si è preferito optare per una soluzione più agile, passando quindi dal vuoto a rendere al vuoto a perdere grazie, appunto, alle bottigliette in PET.

Acqua in bottiglia di plastica, l’invenzione

Così, dopo qualche anno passato a riflettere sul perché le bevande gassate non potessero essere inserite all’interno delle bottiglie in polipropilene, già impiegate per contenere i detersivi, Wyeth ebbe l’intuizione.

Mise una bevanda carbonata all’interno di uno di questi recipienti e, dopo averlo lasciato in frigo per molte ore, ne constatò l’esplosione. Serviva quindi un materiale che fosse più elastico, capace di contenere l’aumento di volume dovuto alle bollicine di CO2 e poi ritornare alla sua forma iniziale.

Il PET risultò perfetto, grazie alle fibre allungate che lo rendevano indubbiamente più resistente del polipropilene. Così, cinquant’anni fa, nacque la prima bottiglietta in plastica per bevande.

L'acqua in bottiglia di plastica è stata una condanna per l'ambiente

Bere acqua dalla plastica, la rivoluzione

L’invenzione di Wyeth fu così rivoluzionaria da valergli il premio Awesome Achievements (straordinari risultati) dalla Society of Plastics Engineers nel 1981 e l’ingresso, cinque anni dopo, nella Hall of Fame dell’industria plastica.

Fu anche promosso in DuPont come ricercatore senior, ricoprendo la carica tecnica più alta di sempre in azienda.

L’acqua in bottiglia di plastica è stata una vera rivoluzione nel mondo del packaging e ha impattato sull’evoluzione dei consumi. La leggerezza e la capacità di contenimento hanno spinto a un maggiore consumo di bevande imbottigliare a casa, eliminando anche i contenitori in PVC con cui si acquistava l’acqua naturale solo un decennio prima.

I primi dibattiti sulle bottiglie in PET

La diffusione rapida e la nuova abitudine di bere acqua dalla plastica destò anche qualche sospetto sulla sicurezza. Alcuni giornali italiani, nella metà degli anni Settanta, pubblicarono articoli in cui la Sanità stava analizzando eventuali rilasci di sostanze indesiderate da parte del PET.

Superati gli scetticismi, le bottigliette si sono diffuse a macchia d’olio in tutto il mondo. Ma il loro successo non è andato di pari passo con le strategie per riciclarle o riutilizzarle.

La mancanza di sistemi regolamentati di raccolta differenziata in molti Paesi ha portato a smaltire correttamente solo il 30-35% delle bottiglie prodotte, alimentando sempre di più il fenomeno di inquinamento da plastica.

Inoltre, grazie allo sviluppo di diversi formati, le boccette monouso e portatili hanno preso il sopravvento rispetto al vetro già dagli anni ’80.

Cinquant’anni dopo

Oggi, esattamente cinquant’anni più tardi, l’Italia è il primo Paese al mondo per consumo di acqua in bottiglia di plastica, con 223 litri pro capite annui e più di 200 marche di minerali.

Il Belpaese stappa ogni dodici mesi la cifra record di 11 miliardi di bottigliette in PET, di cui più del 60% non sono riciclate, disperdendosi nell’ambiente (secondo i dati di Greenpeace).

Per limitare l’inquinamento da plastica, una delle soluzioni immediate è l’eliminazione del consumo di acqua in bottiglia, in favore di quella del rubinetto, opportunamente filtrata o purificata con dispositivi a osmosi inversa.

Non ce ne voglia il sig. Wyeth, ma la sua brillante intuizione ha fatto il suo tempo ed è ora di attivare azioni concrete per limitarne l’impatto devastante.

Il riciclo e riutilizzo della plastica non è sufficiente